Sbirro by Valentin Gendrot

Sbirro by Valentin Gendrot

autore:Valentin Gendrot
La lingua: ita
Format: epub
Tags: valentin gendrot, nutrimenti, igloo, giornalismo, inchiesta, polizia francese, razzismo, omofobia, sessismo
editore: Nutrimenti
pubblicato: 2021-05-07T16:00:00+00:00


16 Manganello con impugnatura laterale fornito in dotazione ad alcuni poliziotti.

17 Casellario giudiziale informatizzato di autori di reati sessuali o violenti.

Capitolo 25

Mi cambio davanti alla porta socchiusa dell’armadietto, pronto a infilarmi in una vita anonima. Lancio la polo in fondo all’armadietto. In soli tre mesi sono riuscito a seminare il caos, un ammasso di vestiti appallottolati. Al giubbotto antiproiettile presto più attenzione e lo appendo a una gruccia. Sulla destra, a pochi armadietti di distanza, Loïc armeggia nervosamente con il cinturone e gli stivali.

“Stamattina non abbiamo fatto niente. Solo l’Alpha ne ha fermato qualcuno”.

“L’ho sentito alla radio. Che hanno fatto?”.

“Hanno controllato alcuni ragazzi in una macchina, con una sciabola, una roba enorme. Avevano pure un coltello, un piede di porco, un passamontagna e un giubbotto antiproiettile. Bastardi veri, insomma!”.

I bastardi in questione sono stati fermati. Un verbale in più.

“Noi non abbiamo fatto niente, ripeto. A parte due barboni e qualche tossico, non c’era niente”.

I miei colleghi li trovano ingrati, questi interventi. Anch’io comincio a non poterne più, è roba senza interesse, compiti destinati a una ‘polizia da poco’. Gli sbirri non hanno firmato per queste rogne, preferiscono le missioni cariche di adrenalina: inseguire fuggitivi o effettuare controlli stradali. E, se possibile, arrestare.

“È da tanto che lavori qui?”, chiedo al mio collega.

“No, da pochi mesi, sono in stage”.

Avevo dimenticato il suo grado, ha una sola barretta sull’uniforme, segno che non è effettivo. È un ‘monosardina’, come lo chiamano i più anziani. Dopo un anno di servizio potrà portare una seconda barretta, quella di agente di polizia effettivo.

“Che facevi prima?”.

“Lavoravo da Sephora”, mi risponde.

“La profumeria?”.

“Sì, quella. Non ne potevo più di quel lavoro. Era da un sacco che volevo passare il concorso”.

Appena uscito dal commissariato infilo le cuffie e metto la musica: parte La nuit je mens di Bashung. Dalla fermata Ourcq della linea 5 mi ci vogliono circa quarantacinque minuti per tornare a casa. La mia traversata in metropolitana finisce alla fermata Château de Vincennes, poi sette minuti fino al supermercato. Al Franprix riempio il carrello rosso di tutto quello che la gastronomia francese ha da offrire in termini di junk food: würstel, cordon bleu, patatine, coca-cola e per dessert caramelle gommose alla fragola. Già so che accompagnerò il tutto con sigarette e caffè.

Sono le 15.30 quando giro la chiave nella toppa di casa. Appena entrato mi sbraco sulla poltrona in similpelle. Ogni infiltrazione è una prova di resistenza, la strada è ancora lunga. Se voglio resistere sei mesi, me ne restano ancora quattro davanti.

I miei unici contatti con i colleghi, per adesso, si limitano agli orari di lavoro. Faccio fatica a entrare nel loro mondo. Durante le mie infiltrazioni precedenti mi ero sempre integrato grazie ai discorsi sul calcio. Ma qui i ragazzi non si interessano alle partite: “È uno sport da checche, fanno una sceneggiata al minimo contatto”, mi ha risposto Diego-Mano quando ho lanciato il discorso. Allora non riesco ancora a fare quattro chiacchiere con loro: parlano di Walking Dead ma io non ho mai guardato questa serie, chiacchierano di macchine e io non ne so niente.



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